Permettetemi un breve aneddoto biografico. Credo ne valga la pena.
Oggi pomeriggio l’ansiosa autrice di questo blog si è trovata a dover monitorare Twitter per motivi professionali (e domani si continua). All’hastag #Elezioni2013 si è affiancato verso le 18.30 #suicidiodimassa, il che rende bene l’idea del sentimento collettivo della Rete in quelle ore. Per non dire che la tentazione c’è anche adesso.
In Toscano 2.0, si direbbe #maremmachecasino. Ciò che però mi interessa far notare ai miei venticinque ansiosi lettori è che c’è un altro hashtag in queste ore spesso affiancato a quello ufficiale delle elezioni.
Proprio #ansia. Parola che torna spessissimo anche da sola. Tra i cinguettii si legge ad esempio:
#Elezioni2013 e #ansia. Un’associazione significativa…
I twittatori ansiosi fanno ironia e giochi di parole sull’ansia. Ad esempio:
Un’altra battuta di queste ore letta in Rete. Nel giorno delle elezioni politiche, “l’agenzia Ansa dovrebbe chiamarsi Ansia”
Mi chiedo quale sarà la tendenza del web di domani, giorno dello spoglio delle regionali. Ci sarà ancora la coppia vincente di hastag #elezioni e #ansia, altamente indicativa?
O ci sarà un altro hashtag coniato per l’occasione? Non so… #attaccodipanico?
C’è una App per tutto, oggigiorno. Dalle razze di gatti alle ricette della pasta. Ne scarichiamo a centinaia, deliziati da una possibilità di scelta quasi infinita e spesso gratuita, ma finiamo per usarne solo una minima parte (come scrive Edoardo Segantini sul Corriere). Potevano mancare le AnsiaApp?
Lo schermo del cellulare dell’ansiosa autrice di questo blog, con le AnsiaApp in prima posizione.
Naturalmente no. Una breve ricerca ci ha fatto scoprire ben due applicazioni per l’ansia, di diversa impostazione e utilità: Informansia e Anx – iPsicologo.
Informansia è strutturata come un gioco a quiz. I quiz sono divisi in tre aree: Lui, Lei, Lui&Lei. All’inizio del gioco, una volta inserito il tuo nome, compare la domanda “Sai gestire l’ansia? Gioca”. La prima domanda, ad esempio, è:
Quanta paura hai delle malattie?
A. Non sono una persona che si ammala.
B. Al minimo segnale mi rivolgo al medico
C. Pensare alle malattie mi crea ansia o angoscia
D. Quando mi capita di ammalarmi chiamo il mio medico
La app spiega a questo punto se il comportamento corrispondente alla risposta è giusto o sbagliato, e fornisce consigli. In ogni momento è possibile ricorrere all’esperto tramite una segnalazione interna.
Lati positivi. Bella l’idea del gioco a quiz, ampia la varietà di quesiti proposti, grafica semplice e rilassante.
Lati negativi. Domande e consigli spesso banali, scarsa facilità d’uso. Molto spesso la app si impalla, specie tra domande e risposte, e bisogna ricominciare dall’inizio.
Anx- iPsicologo è invece un vero e proprio percorso di conoscenza e analisi sull’ansia, con giochi e compiti interattivi che bisogna completare per andare avanti. Ne esiste anche una versione per la depressione.Divisa in nove parti, richiede all’utente un ruolo attivo.
Ad esempio, il primo esercizio recita così: “Provi a pensare ad una situazione successa recentemente in cui ha provato una forte emozione negativa, disagio o malessere. La situazione può essere rappresentata da un evento esterno, ma anche da uno interno, come un ricordo, una fantasia o una sensazione fisica. Può descrivermela?”.
Descritto l’evento, lo psicologo virtuale chiede: “Va bene, e ora provi a concentrarsi sui pensieri che ha avuto in quel momento. Cosa le è passato per la mente?”.
Domande del genere vengono rivolte anche per le emozioni e i comportamenti legati alla circostanza descritta.
Lati positivi. App strutturata con metodo, ben organizzata, ricca di contenuti.
Lati negativi. Scarsa flessibilità. Alla lunga risulta ripetitiva, e tende a prendersi troppo sul serio.
Bilancio finale. App simpatiche, da avere entrambe. Una per rilassarsi e scoprire qualcosa in più della propria personalità, l’altra per documentarsi e sfogarsi… Lo psicologo virtuale non si stanca mai!
Una canzone che consiglio a tutti i miei venticinque ansiosi lettori: Ansia-Ansia del milanese Bassi Maestro(feat. Ghemon), tratta dall’album Stanno tutti bene (2012).
Occhio al testo, vera miniera di riflessione. Speciale la descrizione della città e lo scambio parlato finale, della serie: “In ansia? In ansia?? Ma chi in ansia??? IO?? Macché in ansia, sono cal-mis-si-mo. Perché, ti sembro in ansia?“.
Laureata in Cinema, appassionata dei romanzi di Sherlock Holmes e dei film di Alfred Hitchcock, la protagonista dell’Intervista Ansiosa di oggi si chiama Aurora Piaggesi, ha 23 anni ed è un’aspirante regista e sceneggiatrice pisana. Al suo attivo un canale di recensioni video chiamato WhatsOnScreen e dieci cortometraggi (visibili sul suo canale Youtube) con un tema ricorrente: il rapporto tra la parte emotiva e la parte intellettuale della mente. Al momento lavora a un adattamento de “Il cuore rivelatore”, racconto di Edgar Allan Poe. «Un thriller tra lo psicologico e la follia».
A che tipo di ansie va incontro chi fa un mestiere creativo come il tuo?
Regista e sceneggiatore creano contenuti personali soggetti a valutazioni sempre variabili. Una risposta negativa è sempre possibile, anche per chi è già affermato, e bisogna esserne consapevoli.
Quali difficoltà hai avuto all’inizio della tua carriera?
Appartengo ormai alla quinta generazione da quando è nato il cinema, all’inizio ho trovato difficile essere originale. Il passaggio alla tecnologia digitale ha poi creato un magma di concorrenza. In un universo in cui tutti possono fare cinema è diventato difficile emergere come “il pesciolino d’oro”, soprattutto in un’industria che in questo momento non ha voglia di investire sui nuovi talenti.
Come combatti i dubbi?
Continuo a guardare film, perché tutte le volte che lo faccio mi dico: “Anch’io voglio esprimermi così”. Sento di poterlo fare, ma… farlo bene? E’ un’altra storia.
La locandina del film Julie & Julia (2009), con Meryl Streep e Amy Adams
Il tuo film placa-ansia?
Quando si è in ansia consiglio di vedere film con una componente di bellezza contemplativa a prescindere dalla storia. Registi giapponesi come Hayao Miyazaki o Yasujiro Ozu, ad esempio, ricorrono a inquadrature sul paesaggio naturale di grande bellezza, che ti fanno rendere conto di quanto siano piccoli i tuoi problemi.
Ma il mio film placa-ansia preferito è Julie & Julia di Nora Ephron, la storia di un grandissimo obiettivo perseguito a piccoli passi.
Della sua sterminata produzione – una cinquantina di libri, più una saga da sette episodi e uno sproposito di racconti – sono soltanto due le opere di Stephen King che considero capolavori assoluti del genere “romanzo che mette ansia”. Una per il plot, l’altra per la costruzione narrativa.
Stephen King (Foto tratta da il-miglior.it)
Quella che ha un’idea di partenza davvero potente è Misery (1987). Misery Chastain è il nome dell’eroina letteraria creata da Paul Sheldon, scrittore di romanzetti di successo tra il melenso e il piccante. All’inizio del romanzo Sheldon ha appena concluso il manoscritto de Il figlio di Misery, dove la sua eroina – “quell’arpia”, come la chiama lui – muore di parto a cinque pagine dalla fine. Mette il dattiloscritto in una cartella e se lo porta dietro durante un viaggio in macchina. Lungo una strada di montagna, lo scrittore ha un grave incidente. Si risveglia in un letto con le gambe fratturate a casa di Annie Wilkes, un’infermiera in pensione che vive da sola e che si proclama “la sua ammiratrice numero uno”.
La copertina di “Misery” di Stephen King, 383 pagine (Immagine presa da thrillercafe.it)
Questa è la situazione di partenza del romanzo. “Due persone in una casa” potrebbe sembrare uno spunto poco fertile per un’intreccio che dura quasi 400 pagine. Ma l’ansia di Paul Sheldon nei confronti di quella che si rivelerà la più sadica delle carceriere, Annie, è il motore di partenza di molte delle sequenze più riuscite del romanzo. Annie legge il manoscritto inedito, scopre la morte della sua eroina preferita e obbliga Paul, prigioniero e incapace i muoversi, a scrivere per lei un nuovo romanzo: Il ritorno di Misery.
Uno dei passaggi più ansiogeni è quando Paul “evade” dalla sua camera sulla sedia a rotelle per procurarsi gli antidolorifici che Annie gli ha negato per punirlo. L’infermiera è fuori casa. Paul ha appena controllato il telefono quando
Udì il rumore di un’automobile in avvicinamento e seppe con assoluta certezza che era lei, lei che tornava dal paese. Per poco non svenne.
Comincia qui una corsa disperata sulla sedie a rotelle per tornare in camera e chiudere la porta (aperta con una forcina). La scena è scandita dal rumore del motore del gippone di Annie e dal rumore dei suoi passi in casa, insieme ai pensieri di Paul, che si ripete: “Avanti… Avanti… Avanti…”. Una sequenza capace di aumentare il battito cardiaco del lettore.
Dal libro è stato tratto il film “Misery non deve morire” (1990), diretto da Rob Reiner, con Kathy Bates nel ruolo di Annie
L’altra opera del “Re del brivido” che mi ha fatto pensare a voi, miei venticinque ansiosi lettori, è meno nota. Si chiama L’uomo in fuga (1982), ed è una delle quattro opere che Stephen King ha scritto con lo pseudonimo di Richard Bachman.
Il romanzo di King non sfigura accanto a tre esempi molto citati di romanzo apocalittico: Il mondo nuovo (1932) di Aldous Huxley, Fahrenheit 451 (1954) di Ray Bradbury e 1984 (1949) di Geoge Orwell.
La copertina de “L’uomo in fuga”, 240 pagine (Immagine presa da sognihorror.com)
Anche L’uomo in fuga ha come sfondo una distopia, cioè un’utopia negativa di società. Il titolo del romanzo coincide con quello del programma televisivo più seguito in questo terribile futuro, dove i ricchi possono pagarsi l’aria pulita e i poveri sono condannati a morire di enfisema.
Partecipare a L’uomo in fuga è l’unico modo per Ben Richards, il protagonista, di guadagnare abbastanza per pagare le cure mediche alla figlioletta Cathy. Ma il rischio è alto: l’uomo dovrà sfuggire per un mese a una squadra di killer professionisti. I suoi nemici sono tutti i cittadini d’America, che se lo individuano sono invitati a segnalare la sua localizzazione ai Cacciatori. Se Ben riesce a sfuggire loro per un mese, vince un milione di dollari. Se viene trovato, sarà ucciso – in diretta, per il piacere del pubblico.
Una citazione interessante:
Richards venne scortato in tutta fretta all’uscita del palcoscenico, prima che potessero farlo a pezzi davanti alle telecamere, privando così la Rete di tante ore di futura, appetitosa trasmissione.
L’aspetto più ansiogeno del libro, oltre alle tante “fughe nella fuga” di Ben, che spesso sfugge ai killer per un pelo, è nella struttura narrativa. Il romanzo è infatti pensato come un conto alla rovescia di 100 capitoli. Il primo capitolo si intitola “Meno 100…”, il secondo “Meno 099…”, il terzo “Meno 098…” e così via, fino al gran finale. Gran finale che non si intuisce fino al “Meno 004…”. Una scelta che non può non far presagire qualcosa di grosso, senza deludere le aspettative.
Raccomando questi due romanzi ai venticinque lettori di AnsiaNews a scopo terapeutico: come un emozionante – ma del tutto innocuo – giro sulle montagne russe dell’ansia.
In vena di leggerezze, ho pensato di distrarre i miei venticinque ansiosi lettori – ancora traumatizzati, presumo, dal Sanctissimo Annuncio delle Sanctissimae Dimissiones – con un po’ di gossip e spettacoli.
La compertina di Naturalstyle del febbraio 2013
Ebbene sì. Subito dopo l’addio di Benendetto XVI al pontificato, l’ansioso blog, anziché andare in ansia per la cosiddetta “vacanza di seggio”, preferisce dedicarsi alle ansie che Sarah Felberbaum rivela al mensile Natural Style. L’attrice 32enne, vista nel ruolo di Livia nella fiction Il giovane Montalbano, dichiara di “aver eliminato l’ansia dalla vita” da quando “mangia bio”.
Ora. Che la linea editoriale di un periodico intitolato Natural Style porti in una chiara direzione, va bene. Ma che “mangiare bio” sia la soluzione universale ci lascia francamente perplessi. Eppure dalle pagine del numero di febbraio della rivista sembra proprio così. Dalla paura degli altri di Sarah Felberbaum all’anoressia di Christina Ricci (servizio a pagina 35: “Ero anoressica. Ora mangio bio”), il biologico può tutto. Non si arriva neanche a pagina 40 che – zac!- all’intervistato di turno tocca la fatale domandina. Risponde questa volta Simone Montedoro, nuovo divo delle serie tv. Mangi bio? E come no. “Faccio la spesa al negozietto biologico sotto casa mia – dichiara l’attore – Compro seitan, hamburger, yogurt e latte di soia”.
Comunque, portentosi effetti della soia a parte, tutto può essere. Ed essendo il presente blog alla ricerca di una cura per l’ansia, prendiamo per buono quello che chiameremo “il consiglio di Sarah”: mangiare bio per combattere l’ansia.
Ma l’ansiosa autrice, mentre sorseggia la sua tisana di seitan e germogli rigorosamente bio, si ripromette di indagare.
-Certo, è tutto a posto. Come le dicevo il suo conto è in ordine, l’unica cosa da rivedere è la carta Spider. Ha deciso…
-Sì insomma, non la uso più, quindi pensavo di disabilitarla. Ma per il resto, è tutto…?
-Certo, certo, basta che me la lasci e che firmi qui, se no viene rinnovata automaticamente. Nessun problema.
-Va bene. Eccola qui.
(Posa la carta di credito sulla scrivania e firma il modulo)
-Ecco fatto.
-Tutto qui?
-Sì, tutto qui.
-Ah, bene, allora siamo a posto?
-Sì sì, tutto fatto, abbiamo finito.
–Ma… E’ tutto a posto? No dico, per caso, ci sono altre cose che dovrei saper…
-No, no, tutto bene, stia tranquilla.
-Ah. Bene. Certo (pausa). Allora io…vado.
-Arrivederci.
-Buona giornata.
Così l’ansiosa autrice di questo blog uscì dall’ufficio del competente bancario di sua fiducia, quello che da sempre si occupa del suo conto. Scese le scale ripetendosi che sì, insomma, era stato gentile, e che per quelle altre cose, via, non c’era motivo di stare in ansia. E uscì in strada, lasciandosi alle spalle la filiale del Monte dei Paschi di Siena.
E’ tutta una questione di soldi, il resto è conversazione
Michael Douglas nei panni di Gordon Gekko nel film “Wall Street” (1987) di Oliver Stone (Immagine presa da guardian.co.uk)
La copertina del libro di Charles H. Elliott e Laura L. Smith
Vi piacerebbe un manuale per vincere l’ansia che fosse accurato, documentato, completo, pieno di consigli utili e anche molto divertente? Allora leggete “Vincere l’ansia per negati”, libro della famosa collana for dummies che in questo caso ha un approccio decisamente riuscito.
22 capitoli essenziali e schematici, esercizi, test, vignette, consigli pratici ma anche molto approfondimento. L’indice e una efficace titolazione dei sottoparagrafi permettono di trovare subito l’aspetto del problema che ci interessa. Volete approfondire? C’è tutto. Temete che vostro figlio o il vostro partner sia troppo ansioso, e vorreste aiutarlo? C’è un capitolo apposta per voi. Siete in preda all’ansia e volete una soluzione immediata? Allora la sezione intitolata “Tutto in dieci punti” è quella giusta. Qui trovate quattro decaloghi: “Dieci metodi per i casi di urgenza”, “Dieci metodi che non funzionano”, “Dieci metodi per affrontare le recidive” e “Serve uno specialista? Dieci segnali”.
Ecco i metodi suggeriti dai due autori americani per affrontare l’ansia:
Ecco invece la lista dei metodi che non funzionano per sconfiggere l’ansia, assai spassosa:
Evitare ciò che spaventa.
Lamentarsi e compiangersi
Cercare rassicurazioni
Sperare nei miracoli
Cercare soluzioni già pronte
Stendersi sul lettino
Affidarsi a Bacco
Sforzarsi troppo
Sorbire portentose tisane
Usare i farmaci come unico rimedio
Giudizio finale. Nonostante lo stile ricordi i manuali di Paperoga (il cugino bislacco di Paperino ha una collezione infinita di manuali impossibili tipo: “Il calcio in 7 giorni”, “Allevare ornitorinchi in sette pratiche mosse”, “Sette consigli pratici per il tappezziere di successo”…), il libro è davvero una guida completa e piacevole.
Il che, per soli 13 euro, ci sembra un ottimo investimento.
Charles H. Elliott, Laura L. Smith, Vincere l’ansia per negati, Milano, Oscar Mondadori 2006, pp. 292, 13 euro
Questo post è un Sos. Tre punti, tre linee, tre punti. La richiesta internazionale di soccorso arriva dal comodino dell’ansiosa autrice di questo blog, che da qualche tempo si vede caricato vieppiù di volumi e libercoli senza opportuno ricambio. Il poverino è stremato. La sua situazione è al momento la seguente:
Il comodino dell’ansiosa autrice di questo blog: a sinistra la pila di libri da leggere, a destra quelli già letti.
Dopo aver parlato a suo tempo dell’ansia di scrivere poco, era inevitabile parlare anche dell’ansia di leggere poco. Possono essere causa del fenomeno non solo situazioni estreme come quella del disgraziato pezzo d’arredo qui mostrato, ma anche situazioni più sottili. Ad esempio: Non Riconoscere Più A Colpo D’Occhio Autori E Titoli Nei Supplementi Letterari. Rendersi Conto Di Leggere Più Supplementi Letterari Che Libri. Tornare In Libreria E Individuare Nel Contempo Il Libro Che Vorresti Leggere E Quello Che Hai Comprato l’Ultima Volta (E Che Non hai Nemmeno Iniziato).
Il segnale peggiore, comunque, è Il Segnalibro Rimasto Sempre A Pagina 41 O Giù Di Lì Che Sembra Domandarti “Beh, Che Intenzioni Hai?”.
Anche se le deprecate liste bloccate sono ormai compilate, ora che siamo entrati nel mese delle elezioni non riesco proprio a lasciar perdere il fenomeno delle “ansie da ricandidatura”. Ne ha scritto qualche tempo fa Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera (qui il link all’articolo, intitolato Ansie e “patti della mozzarella”, i dubbi dei transfughi verso il Centro).
Anche i parlamentari hanno le loro ansie. Mi chiedo però: quanti, tra i miei venticinque ansiosi lettori, soffrono o hanno mai sofferto di ansia da ricandidatura? E aggiungo: cosa ci dice questo sulla distanza tra i nostri rappresentanti e la gente comune?
Parliamone.
Miei affezionati venticinque ansiosi lettori, mi scuso con voi per non aver postato nulla sull’ansioso blog negli scorsi quattro giorni. Del resto, come alcuni di voi hanno intuito, il post di venerdì 25 gennaio (qui il link) non era casuale. Ora che tutto è andato bene, gli aggiornamenti torneranno al solito ritmo.
AnsiaNews (e la blogger) restano più ansiosi che mai.